Uguaglianza e meritocrazia sono due concetti da molti definiti agli antipodi, da altrettanti ritenuti l’uno indispensabile per la sopravvivenza dell’altro. Ma che cosa si intende precisamente con la prima? Avere pari diritti e doveri? Avere rispetto di tutti indistintamente? E, invece, con la seconda, cosa si intende? Il riconoscimento di un diritto basato solo sulla virtù di possedere un talento o nell’aver avuto un’educazione migliore di altri? O, ancora, la competenza in un lavoro specifico?
Quanto male fa leggere le parole di Valerio Scanu, subito dopo l’ultima puntata del Cantante mascherato, che l’ha visto partecipare fino alle soglie della finalissima, nelle vesti dell’Angelo. L’interprete sostiene di aver attraversato un momento buio, di aver vissuto una grande difficoltà, di aver avuto voglia di lasciar perdere la propria carriera nel mondo della musica. D’altronde, la tentazione di dare ragione a chi ci ha detto che avremmo fallito, che non siamo tagliati per un lavoro o una missione è più o meno grande in tutti gli esseri umani, quando sono dotati di sensibilità ed aperti alla possibilità del dubbio.
Wilde stabilisce quindi che la funzione dell’artista consiste nella creazione di cose belle e che la sua vita si realizza nella compiutezza dell’opera d’arte. Il critico, dunque, lo scrittore aggiunge, in quanto interprete della creazione artistica, ne potenzia la vitalità e quindi non differisce dall’esteta: la sua ricerca di significati non è altro che un’operazione autobiografica.
La decima edizione di X-Factor passerà alla storia ben poco per i concorrenti che si sono succeduti sul suo palco (concorrenti dei quali si parlerà per i prossimi tredici giorni, perché, poi, su di loro cali il solito pietoso velo che ha fatto dimenticare gli ultimi due o tre vincitori della kermesse di Sky) o per chi ha vinto la gara (per la cronaca i Soul System, che alla fine hanno avuto la meglio su Gaia Gozzi), quanto per le continue liti tra i quattro giudici orchestrate per la sesta volta consecutiva da Alessandro Cattelan: Fedez, Alvaro Soler, Manuel Agnelli e, buona ultima, Arisa.
Quando si ascolta Alessandra Amoroso, la sua voce, calda e sincera, entra nel cuore, con il timbro sabbiato o senza. L’ho conosciuta ormai quasi dieci anni fa e da allora non l’ho mai lasciata: posso dire di essere una “amorosina” vera e propria. Appena quello scricciolo ha iniziato ad intonare le prime note – era If I ain’t got you, un difficile pezzo di Alicia Keys – (“tieni la bocca storta quando piangi”, disse la De Filippi, quando la presentò per la prima volta tra gli entusiastici commenti dei professori di Amici), me ne sono innamorata: è stato un colpo di fulmine.
Sotto banco / Scritti da corridoio 