Le gioie del matrimonio (prima parte)

Annamaria Identici (era stata Annamaria Barale) osservava suo marito dall’altra parte del tavolo con gli occhi che le bruciavano. Ma Giuseppe Identici era del tutto ignaro di qualsiasi pensiero stesse fumando nella testa della consorte. Era troppo occupato con le sue uova. Come poteva sapere che proprio quelle uova alimentavano la cupa minaccia che arrossava o meglio arroventava gli occhi di Annamaria?


Quando il signor Identici mangiava un uovo alla “coque”, com’era naturale, si concentrava tutto su di esso. Trattava quell’esperienza come una grande avventura. Il che, dopotutto, è vero. Pochi aspetti della nostra vita quotidiana contengono lo stesso elemento di sorpresa che si può rintracciare in un uovo da colazione cotto in tre minuti.
Questo era il metodo di attacco di Giuseppe Identici: in primo luogo, scheggiava la parte superiore, ordinatamente. Poi, si chinava in avanti e lo sottoponeva ad un esame appassionato e implacabile. Raddrizzandosi – in preparazione per il gesto successivo, cioè quello di immergervi il cucchiaio – agitava il gomito destro. Quel passaggio presentava a chiunque lo guardasse dall’esterno la prova di uno stato mentale preciso, di passione o di disgusto o di indifferenza. Giuseppe Identici dava sempre quel piccolo scatto preliminare, quando stava contemplando una decisione seria da prendere, o quando era commosso, o quando era polemico. Era un gesto tanto innocente quanto esasperante.
Annamaria Identici aveva imparato a individuare quel gesto – erano sposati da quattro anni: lo cercava con altrettanta passione e lo odiava in modo morboso e irragionevole. Quel gesto del gomito stava lacerando i nervi di Annamaria Identici in frammenti crudi e sanguinanti.

Le sue dita erano serrate saldamente sotto il tavolo, adesso. Respirava in modo irregolare. “Se lo fa di nuovo”, si disse, “se sbatte di nuovo le ali quando apre il secondo uovo, urlerò.”
Il marito aveva raccolto il primo uovo nella sua tazza. A quel punto raccolse il secondo, lo scheggiò, si concentrò, si raddrizzò, poi… il gomito andò su e giù, nella solita irritante maniera.
I nervi torturati della povera Annamaria si spezzarono. Nella quiete mattutina di San Donato del Piave, nella valle del fiume omonimo, giunse l’urlo acuto e penetrante dell’isteria di Annamaria Identici.

“Annamaria! Per l’amor di Dio! Che c’è!”. Giuseppe Identici lasciò cadere il secondo uovo e il cucchiaio. Il tuorlo d’uovo gocciolò nel suo piatto. Il cucchiaio fece un rumore metallico e disperse un’allegra macchia gialla sulla stoffa della tovaglia ricamata. Si avviò verso di lei.
Annamaria, con gli occhi stralunati, gli puntò contro un dito tremante. Stava ridendo, ora, in modo incontrollabile. “Il tuo gomito! Il tuo gomito!”
“Il gomito?”, Giuseppe abbassò lo sguardo, sconcertato, poi alzò lo sguardo, spaventato in faccia. “Quale sarebbe il problema?”
Si asciugò gli occhi. I singhiozzi la scossero. “L’hai s-s-sbattuto.”
“Cioè?…” Lo sconcerto sul volto di Giuseppe Identici lasciò il posto alla rabbia. “Vuoi dirmi che hai strillato così perché ho… perché ho mosso il gomito?”
“Sì.”

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