Un’avventura autunnale (prima parte)

Una volta in autunno mi capitò di trovarmi in una situazione molto spiacevole e scomoda. Nella città dove ero appena arrivato e dove non conoscevo anima viva, mi trovai senza un soldo in tasca e senza un luogo dove passare la notte.


Avevo perso tutto il mio denaro nel casinò: la tecnica del proprietario era sempre la stessa di tutte le case da gioco esistenti al mondo – prima, fanno vincere al malcapitato somme anche esorbitanti, così da farlo ingolosire; poi, cominciano a fargli scommettere anche la camicia e, alla fine, quest’ultimo (nel caso, io stesso) si ritrova senza il becco di un quattrino, infelice e perfino senza abiti da passeggio. Il che, notoriamente, obbliga a muoversi di notte nei quartieri malfamati, dove è facile incontrare malintenzionati che non vedono l’ora di metterlo a mal partito.

Passai così nel quartiere portuale (una specie di Ostia, ma senza i turisti, senza gli alberghi, insomma senza tutto ciò che rende vivibile una città di mare), dove erano i moli dei piroscafi: quella zona durante la stagione della navigazione ferveva di vita chiassosa e laboriosa, ma ora, mentre mi ci aggiravo, restava silenziosa e deserta, poiché ormai erano gli ultimi giorni di ottobre e non una imbarcazione si sarebbe mai mossa in quel freddo e regolarmente tempestoso mare.
Trascinando i miei piedi doloranti sulla sabbia umida, scrutando la spiaggia ostinatamente nell’intento di scoprirvi qualcosa che avrei potuto mettere sotto i denti (non che mi aspettassi di trovare ogni sorta di cibi in quel luogo abbandonato anche da Dio), vagavo solitario tra gli edifici e i magazzini deserti e, intanto, pensavo quanto sarebbe stato bello godersi, da qualche parte, preferibilmente lontano, un pasto completo.
In quella mia condizione, naturalmente, la fame della mente sarebbe stata soddisfatta più rapidamente di quella del corpo. Quando si vaga per le strade, per di più di una città ignota e ostile, si è spesso circondati da edifici che non appaiono in se stessi brutti di fuori. Posso tranquillamente confessarlo: non sembravano nemmeno così male arredati dentro e la loro vista poteva suscitare dentro di me idee perfino stimolanti sull’architettura, sull’igiene pubblica e su molti altri soggetti interessanti e financo di alto livello. In più, in quella città, così come in molte altre, non sarebbe stato impossibile incontrare uomini e donne ben vestiti e curati nella loro apparenza, tutti molto educati: è vero, si allontanavano da me, circospetti, ma lo facevano con tatto, non volendo offensivamente notare il deplorevole fatto della mia esistenza.

E’ proprio vero: la mente di un uomo affamato è sempre meglio “nutrita” e più sana di quella dell’uomo ben sazio, ciò che appare una contraddizione in termini, ma, come ben sa il filosofo, l’illogicità è alla base del nostro povero mondo; ed ecco che da questa riflessione si può trarre una conclusione in modo molto ingegnoso favorevole allo “status” dei malnutriti.

La sera, alla fine, si avvicinava voluttuosa, la pioggia cadeva incessante e il vento soffiava impetuoso da nord (ho sempre avuto una grande abilità ad orientarmi, grazie alla mia bussola interna). Fischiava sulle bancarelle del mercato ittico e tra le botteghe vuote, soffiava contro i vetri intonacati delle taverne e sferzava fino a farle diventare schiuma le onde del fiume le quali sguazzavano rumorosamente sulla riva sabbiosa, alzando le loro creste bianche, correndo una dopo l’altra nell’oscurità a distanza di metri e saltando impetuosamente l’una sulle spalle dell’altra, come fossero stati bambini che giocavano a rimpiattino. Sembrava che quel corso d’acqua avvertisse l’avvicinarsi dell’inverno e si allontanasse a casaccio dalle catene di ghiaccio che la tramontana settentrionale avrebbe potuto scagliargli addosso quella stessa notte. Il cielo era incredibilmente pesante e scuro; come ho già ricordato, da esso scendevano incessantemente gocce di pioggia appena visibili e la malinconica elegia della natura tutt’intorno a me era sottolineata da un paio di salici malconci e deformi e da una barca, che ondeggiava dal basso verso l’alto, fissata alle loro radici.

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