Sheldon Cooper e la sofferenza del genio

 

Chi di noi non s’è mai sentito come Sheldon Cooper, il popolare personaggio di “The Big Bang Theory”? Il suo successo, determinante per l’accumularsi delle stagioni della popolare serie americana, è legato probabilmente proprio al fatto che tutti, prima o poi, in qualche situazione, per qualche motivo, ci siamo ritrovati, almeno per un attimo, nei suoi panni. Non si tratta di genialità mal compresa (non penso proprio di avere intorno nessun nuovo Einstein e per gran parte dei miei amici la teoria delle stringhe è più che altro un metodo per allacciarsi le scarpe senza far troppa fatica), quanto di disadattamento rispetto al mondo circostante, quello che noi giovani chiamiamo, con parola un po’ troppo sfruttata, “disagio”. Ecco, Sheldon è un uomo “disagiato”.

Eppure, fin da piccolo (secondo la storia che di lui si racconta in tv, è nato in Texas a Gavelston), il futuro dottor Cooper mostra di possedere un Q.I. nettamente superiore alla media, è dotato di memoria eidetica (una qualità rarissima che consiste nella capacità di richiamare alla memoria immagini, suoni o oggetti con grandissima precisione per qualche tempo dopo averne fatto, brevemente, esperienza – abilità che, per dire, era del Mozart che trascriveva intere partiture, dopo averle ascoltate due volte) e ha anche l’orecchio assoluto, come pochi altri. Insomma, sembra avere tutto per primeggiare e soprattutto per farsi “accettare”. Il diploma ottenuto a undici anni e il dottorato a sedici appaiono solo come delle conferme di un brillante futuro. Ma, alla fine, scopriamo che è solo un “bambino” spaventato, geniale quanto si vuole, ma schiavo di manie, di “routine” precise e strampalate (il bucato alle otto e un quarto della sera ogni sabato, il posto fisso sul divano e guai a chi glielo tocca…), incapace di stringere relazioni amicali o di comprendere qualunque convenzione sociale.

Il logico Sheldon è, alla fine, assurdo, tanto quanto lo sono certi aspetti della nostra stessa personalità. Anche noi, alla fine, siamo in qualche modo strambi, proprio come lui: magari non saremo germofobici, o faremo di tutto per non apparire completamente egocentrici o narcisisti, ma, in effetti, quando chiediamo alla nostra migliore amica come sta, o se ha fatto i compiti, siamo sicuri d’essere veramente interessati alla risposta? O forse, come Sheldon (e senza essere fisici teorici), non riteniamo anche noi inutile tutto ciò che non rientra direttamente nei nostri campi d’interesse? Forse non sogneremo, come il nostro eroe, di vincere il premio Nobel, ma è vero o no che qualche volta non comprendiamo l’ironia di certe battute e non riusciamo nemmeno a leggere tra le righe, prendendo fischi per fiaschi, e così stimoliamo le risa di chi ci sta attorno?

Non siamo alla fin fine così diversi dal dottor Bazinga. In ognuno di noi c’è un piccolo Asperger, che culliamo, magari cantando “Soft kitty/ warm kitty…”, nell’illusione di essere normali, quando la normalità, si sa, è comunque sopravvalutata.

E, se anche non fosse così, tuttavia, questo giovane “nerd”, del quale in fondo in fondo molte ragazze sono segretamente innamorate (altro che Ian Somerhalder e i dentoni aguzzi), pur non essendo il principe azzurro delle favole, è comunque, a suo modo, riuscito a conquistare pubblico e critica. E’ proprio il suo essere così diverso, in modo totalmente innocente, a renderlo interessante. Il suo modo di relazionarsi con gli altri e di provare ad adattarsi al mondo esterno, seppure rispettando le regole di comportamento sociale in modo completamente meccanico e innaturale, lo rende, in effetti, (im)perfettamente unico.

Aurora Bua

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