Chi sopporta il fardello dell’uomo bianco (prima parte)

The White Man's Burden - Wikipedia

La poesia fu scritta in un primo tempo per omaggiare la regina d’Inghilterra Vittoria in occasione dei sessant’anni del suo regno (1897); alla fine, Kipling preferì indirizzarla agli Stati Uniti, come indica il sottotitolo “The United States and the Philippine Islands”. Gli Stati Uniti avevano, infatti, combattuto contro la Spagna per liberare alcune delle sue colonie: Cuba, Guam, Portorico e appunto le Filippine. Alla fine della guerra, nel 1898, il trattato di Parigi aveva stabilito che gli Usa avrebbero controllato le ex-colonie spagnole.

Non a caso Kipling fece avere il suo poema al governatore di New York, Theodore Roosevelt, che sarebbe diventato presidente nel 1901 e che al tempo era un sostenitore dell’imperialismo americano. Quest’ultimo lo spedì al senatore Henry Cabot Lodge, perché lo citasse durante il dibattito al Senato per convincere i suoi colleghi a dare il via libera all’impero coloniale americano. La poesia fu, in effetti, menzionata in quella circostanza da un altro senatore, Benjmain Tillman, che, però, riteneva che Kipling avesse voluto avvisare le autorità che i Filippini “were not suited to our institutions” e che non volevano essere civilizzati: concludeva, dicendo: “Why are we bent on forcing upon them a civilization not suited to them and which only means in their view degradation and a loss of self-respect, which is worse than the loss of life itself?”.

Con questi versi Kipling pensava di incitare gli Americani a sacrificarsi per civilizzare le popolazioni ancora primitive, come i Filippini, definiti dal poeta “new-caught, sullen peoples,/ half-devil and half-child” (vv. 7-8). Anche gli Stati Uniti dovevano, a suo giudizio, caricarsi del “fardello dell’uomo bianco” (espressione ripetuta per sette volte in anafora all’inizio di ciascuna stanza della poesia) e costruire un impero coloniale, nonostante le difficoltà che avrebbero incontrato (guerre, carestie, epidemie). La sua idea era che, comunque, la razza bianca era obbligata moralmente a questa missione di progresso: l’imperialismo non comportava, secondo lui, vantaggi per i coloni, ma solo per i colonizzati, che sarebbero entrati, finalmente, nella “luce” – metafora questa che va letta anche in senso cristiano, visto che, secondo il racconto biblico, Noè aveva maledetto la genia del figlio Cam, caratterizzata dalla pelle nera, perché fosse per sempre schiava.

La poesia esorta i migliori della razza bianca (“send forth the best ye breed”, v. 2), cioé i più giovani tra gli Americani, a colonizzare le Filippine: paradossalmente, essi lo faranno per diventare servi dei loro stessi prigionieri (“to serve your captives’ need”, v. 4), come si dice al v. 5 “in heavy harness”, cioé bardati come cavalli che devono tirare un pesante carico e che quindi dimostreranno la loro capacità di sopportazione (“in patience to abide”, v. 10). Un’altra immagine per descrivere questo incarico è contenuta nella quarta stanza: il colonizzatore è chiamato “serf and sweeper” (v. 27), metaforicamente dunque avvicinato ad un servo che deve pulire una casa. Come unico premio, si dice ironicamente, i bianchi avranno il disprezzo e la riprovazione dei non-bianchi, che arriveranno addirittura a rimpiangere la loro antica schiavitù, “our loved Egyptian night” (v. 40), espressione che allude ad un episodio biblico raccontato nell’Esodo, là dove si narrano le rimostranze degli Israeliti contro Mosé, che, pur avendoli guidati fuori dall’Egitto, dove erano schiavi, li aveva portati alla fame nel deserto. Anche la forma della poesia sottolinea la necessità da parte dell’uomo bianco di sottoporsi alla prova: il costante ritmo giambico, simile a quello di una marcia militare, con una piccola differenza tra i versi dispari e quelli pari, rende anche più incalzante l’ordine espresso dall’autore in modo tale da non ammettere discussione.

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