Un’avventura autunnale (quarta parte)

La pioggia flagellava incessantemente le travi della barca e il suo lieve picchiettio induceva a pensieri malinconici. Il vento ancora fischiava, mentre scendeva nel fondo martoriato della barca attraverso una fenditura, dove alcune schegge di legno sbattevano l’una contro l’altra: era un inquietante e deprimente suono. Le onde del fiume schizzavano sulla riva e suonavano così monotone e senza speranza, proprio come se stessero raccontando qualcosa di insopportabilmente noioso e pesante, che li annoiava fino al disgusto totale, qualcosa da cui volevano scappare eppure erano obbligate a tollerare lo stesso. Il suono della pioggia si mescolava con i loro scrosci e un lungo sospiro sembrava fluttuare sopra la canoa rovesciata: vi riconobbi il sospiro infinito e laborioso della terra, ferita ed esausta dagli eterni cambiamenti dall’estate luminosa e calda al autunno freddo, nebbioso e umido. Il vento soffiava continuamente sulla spiaggia desolata e sul fiume spumeggiante, soffiava e cantava i suoi malinconici canti…

La nostra posizione al riparo della barca non era effettivamente confortevole; eravamo allo stretto e umidi; minuscole stille fredde gocciolavano attraverso il fondo danneggiato; vi penetravano raffiche di vento. Restammo seduti in silenzio e rabbrividimmo di freddo. Mi ricordai improvvisamente che volevo andare a dormire. Giada appoggiò la schiena contro lo scafo della barca e si raggomitolò in una pallina. Abbracciando le ginocchia con le mani e appoggiando il mento su di esse, fissava ostinatamente il fiume con gli occhi spalancati; sulla pallida macchia del suo viso sembravano immensi, anche a causa dei segni blu sotto di loro a incorniciarli. Non si muoveva mai e questa sua immobilità e questo suo silenzio – lo sentivo – producevano a poco a poco in me il terrore del mio prossimo. Volevo parlarle, ma non sapevo come cominciare.

Fu lei stessa a parlare: “Che cosa maledetta è la vita!”, esclamò in modo chiaro e con un tono di profonda convinzione.
Ma questa non era una vera lamentela. In queste parole c’era troppa indifferenza perché fosse una giaculatoria. Quest’anima semplice pensava secondo il suo intelletto, pensava e procedeva a formulare una certa conclusione che esprimeva ad alta voce e che io non potevo confutare per paura di contraddirmi. Perciò tacevo e lei, come se non si fosse accorta di me, continuava a star seduta immobile.

“Anche se ci mettessimo a gracchiarle contro… poi…?”, Giada ricominciò, questa volta in modo riflessivo, e ancora non c’era una nota di lamentela nelle sue parole. Era evidente che questa donna, nel corso delle sue riflessioni sulla vita, si stava occupando del proprio caso personale ed era arrivata alla convinzione che per preservarsi dalle beffe della vita non era in grado di fare altro che gracchiare – per usare la sua stessa espressione.
La chiarezza di questa linea di pensiero mi era indicibilmente triste e dolorosa e sentivo che, se avessi taciuto ancora, avrei dovuto piangere davvero… E sarebbe stato vergognoso averlo fatto davanti a una donna, tanto più che lei stessa non piangeva. Decisi di parlarle.

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