Quando sei positivo

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Al mondo esistono migliaia di sport riconosciuti: ognuno ha le sue regole e le sue particolarità, ma sono tutti accomunati dal fatto che avvicinano ai valori più alti. Troppo spesso, però, la purezza di queste discipline rischia di venire oscurata dalla cattiva condotta di chi le pratica.

Sovente s’è sentito parlare dell’uso di sostanze dopanti che hanno portato alla squalifica di un atleta. Nel caso specifico del ciclismo ci troviamo di fronte a due tipi di doping: può capitare che gli atleti si ossigenino il sangue, per esempio restando per qualche tempo ad alta quota, lo estraggano, lo conservino e poi se lo iniettino di nuovo poco prima della gara; altri, invece, usano piccolissime tracce di sostanze stupefacenti, che per la loro scarsa quantità non sono rintracciabili.

Tutt’ora i metodi per controllare l’abuso di queste droghe prevedono il cosiddetto “passaporto biologico”, che è in grado di rilevare anche le più piccole variazioni a livello ematico. Tuttavia, come ha spiegato a suo tempo Pierre Sallet, direttore dell’organizzazione Atleti per la trasparenza, è facile eludere questo tipo di analisi. Lo scienziato ha condotto un esperimento per provare le sue teorie, al quale hanno partecipato Cedric Fleureton e Guillaume Antonietti, che, già otto giorni dopo il test, hanno riscontrato un incremento delle prestazioni di oltre dieci minuti su un percorso di ventiquattro chilometri.

Il passaporto biologico si è quindi rivelato inutile. Sallet ha consigliato di sostituirlo con un’altra sostanza, l’interferone, a cui nessun tipo di “aiuto chimico” può sfuggire. Nonostante abbia proposto questo cambiamento a chi si occupa dell’antidoping, non ha ottenuto riscontri. D’altronde, mentre adesso sono testati solo i primi tre in clasifica, scegliere di sottoporre tutti i partecipanti all’interferone comporterebbe costi spropositati. Ma ciò che è più preoccupante è che al momento sono le stesse federazioni ad occuparsi di questi controlli, per cui si andrebbe incontro a un conflitto di interessi, perché a nessuna società converrebbe scoprire la colpevolezza di un proprio campione.

Molte sono state negli anni le “vittime” del doping: per restare in ambito ciclistico Marco Pantani ha perso la vita a causa dell’uso di queste sostanze; a Lance Armstrong sono stati revocati tutti i premi vinti dal 1998 al 2013. E’ necessario sottolineare il fatto che questo problema riguarda anche molte altre discipline. Ai giochi olimpici di Rio, nel 2016, tutti i sessantotto membri della squadra russa di atletica leggera sono stati esclusi dopo che sono risultati positivi all’uso di sostanze proibite.

Se si esclude il conflitto morale che nasce nel momento in cui si sceglie di vincere solo grazie a una droga, è chiaro che violando le regole si perde contatto con tutto ciò che c’è di più nobile in uno sport: dal rapporto che si crea con gli altri, siano essi il pubblico o i compagni di squadra, all’idea di superare i propri rivali per il semplice fatto di essere migliori. Oggi è diventato talmente importante prevalere in uno sport che si dimentica il motivo per cui lo si è iniziato: la passione.

Emma Manzani

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