Anniversari (prima parte)

Era il compleanno della principessa. Aveva solo dodici anni e il sole splendeva luminoso sui giardini del palazzo.

Sebbene fosse una vera principessa, aveva un solo compleanno all’anno, proprio come i figli dei suoi sudditi più poveri, quindi era naturalmente una questione di grande importanza per l’intero paese che passasse davvero una bella giornata in quell’occasione. E di certo fu una bella giornata. Gli alti tulipani striati si ergevano ritti sui loro steli, come lunghe file di soldati, e guardavano con aria di sfida le rose attraverso l’erba, dicendo: “Siamo splendidi quanto voi adesso.” Le farfalle viola svolazzavano con la polvere d’oro sulle ali, visitando a turno ogni fiore; le piccole lucertole strisciavano fuori dalle fessure del muro e giacevano crogiolandosi nel bagliore bianco; le melagrane si spaccavano per il calore e mostravano i loro cuori rossi e sanguinanti. Persino i limoni giallo pallido, che pendevano in tale profusione dai graticci e lungo le arcate oscure, sembravano aver preso un colore più ricco dalla meravigliosa luce del sole e gli alberi di magnolia aprivano i loro grandi fiori a forma di globo di avorio e riempivano l’aria con un profumo dolce e pesante.

La piccola principessa passeggiava con le sue compagne su e giù per la terrazza e giocava a nascondino intorno ai vasi di pietra e alle vecchie statue coperte di muschio. Nei giorni ordinari le era permesso farlo solo con i bambini del suo stesso rango, quindi doveva sempre giocare da sola, ma il suo compleanno era un’eccezione e il re aveva dato ordine che invitasse tutti i suoi giovani amici a divertirsi con lei. C’era una grazia maestosa in questi snelli bambini, mentre scivolavano qua e là, i ragazzi con i loro cappelli a larghe piume e i loro corti mantelli svolazzanti, le ragazze che reggevano gli strascichi dei loro lunghi abiti di broccato e riparavano il sole dagli occhi con enormi ventagli di nero e argento. Ma la principessa era la più aggraziata di tutte e vestita con più gusto, secondo la moda del tempo. La sua veste era di raso grigio, la gonna e le ampie maniche a sbuffo pesantemente ricamate d’argento e il corsetto rigido tempestato di file di perle fini. Due minuscole pantofole con grosse coccarde rosa facevano capolino sotto il suo vestito, mentre camminava. Rosa e perla era il suo grande ventaglio e tra i capelli, che come un’aureola d’oro sbiadito risaltavano rigidi intorno al visetto pallido, aveva una bella rosa bianca.

Da una finestra del palazzo li guardava il re triste e malinconico. Dietro di lui c’era suo fratello, Giorgio Battista, che odiava, e al suo fianco sedeva il suo confessore, il grande inquisitore di Ferrara. Ancora più triste del solito era il re, perché, mentre guardava la principessa che si inchinava con gravità infantile ai cortigiani che si radunavano, o rideva dietro il suo ventaglio alla cupa duchessa di Mantova che l’accompagnava sempre, pensava alla giovane regina, sua madre, che poco tempo prima – così gli parve – era venuta dalla gaia campagna della Savoia e si era appassita nel cupo splendore della corte, morendo appena sei mesi dopo la nascita del figlio, prima che avesse visto i mandorli fiorire due volte nel frutteto, o colto i frutti del secondo anno dal vecchio fico nodoso che si ergeva al centro del cortile, ora ricoperto d’erba. Tanto era stato il suo amore per lei che non aveva perdonato alla tomba di nascondergliela.

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