Le gioie del matrimonio (quindicesima e ultima parte)

“Oh, Giuseppe, non farlo! Non posso sopportare… Hai fatto colazione?”
“Ma no. Il treno era in ritardo di un’ora.”
Ma lei era fuori dalle sue braccia e si dirigeva verso la cucina. “Vai a fare un bagno. Io preparerò biscotti caldi e tutto in un batter d’occhio. Povero ragazzo. Niente colazione!”


Mantenne la sua promessa. Non poteva essere passata più di mezz’ora, quando stava imburrando il suo terzo dolce biscotto dorato. Ma lui non aveva mangiato niente. Lei lo osservava e ascoltava e di nuovo i suoi occhi erano cupi, ma per una ragione diversa. Ruppe il suo uovo. Il suo gomito si sollevò solo di una frazione di centimetro. Poi si ricordò e arrossì come uno scolaretto: lo abbassò di nuovo, con cautela. E a questo gesto lei lanciò un grido tremulo e si precipitò intorno al tavolo verso di lui.

“Oh, Giuseppe!” Prese tra le braccia il gomito offensivo, si chinò e baciò la ruvida manica del cappotto.
“Perché, Annamaria! Non farlo, tesoro. Non farlo!”
“Oh, Giuseppe, ascolta…”
“Sì.”
“Ascolta, Giuseppe…”
“Ti ascolto, Annamaria.”
“Ho qualcosa da dirti. C’è qualcosa che devi sapere.”
“Sì, lo so, Annamaria. Sapevo che te ne saresti andata molto presto, se solo avessi aspettato.”
Poi sollevò il viso stupito e lo fissò. “Ma come potevi saperlo? Non potevi! Come potevi?”

Poi, le accarezzò la spalla, dolcemente. “Quando hai in mente qualcosa, prendi sempre un cucchiaino di caffè, lo guardi e lo muovi avanti e indietro nella tazza e poi lo fai gocciolare di nuovo nella tazza, senza assaggiare. Mi rendeva nervoso, quando ci siamo sposati per la prima volta, guardarti. Ma ora so che significa solo che sei preoccupata per qualcosa…”
“Oh, Giuseppe!” gridò allora. “Oh, Giuseppe!”
“Adesso, Annamaria. Dillo e basta, tesoro. Dillo a papà. E ti sentirai meglio.”

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