Anniversari (terza parte)

Fece una piccola smorfia di disappunto e si strinse nelle spalle. Sicuramente poteva rimanere con lei il giorno del suo compleanno. Che importavano gli stupidi affari di stato? Oppure era andato in quella cupa cappella, dove le candele erano sempre accese e dove non le era mai permesso di entrare? Che sciocco da parte sua, quando il sole splendeva così luminoso e tutti erano così felici! Inoltre, gli sarebbe mancata la finta corrida di cui già suonava la tromba, per non parlare dello spettacolo di marionette e delle altre cose meravigliose. Suo zio e il confessore erano molto più ragionevoli. Erano usciti sul terrazzo e le avevano fatto dei bei complimenti. Allora scosse la graziosa testolina e, preso per mano Giorgio Battista, scese lentamente i gradini verso un lungo padiglione di seta purpurea eretto in fondo al giardino, seguita in rigoroso ordine di precedenza dagli altri bambini, quelli dai nomi più lunghi per primi.

Le venne incontro un corteo di nobili fanciulli, fantasticamente vestiti da cavalieri, e il giovane conte di Parma, un ragazzo meravigliosamente bello di circa quattordici anni. Egli si scopriva la testa con tutta la grazia di un cavaliere nato sotto l’impero di Carlo Magno; la condusse solennemente a sedere su una piccola sedia d’oro e d’avorio posta su un parapetto rialzato sopra l’arena. I bambini si raggrupparono tutt’intorno, sventolando i loro grandi ventagli e bisbigliando tra loro, e Giorgio Battista e il confessore stavano ridendo sull’ingresso. Perfino la duchessa, una donna magra, dai lineamenti duri, con un collare giallo, non aveva la solita aria irascibile e qualcosa di simile a un sorriso gelido aleggiava sul suo viso rugoso e sulle labbra esangui.

Fu certamente una corrida meravigliosa, molto più bella, pensò la principessa, della vera corrida che era stata portata a vedere a Senigallia, in occasione della visita del duca di Parma a suo padre. Alcuni dei ragazzi saltellavano su cavalli da tiro riccamente bardati, brandendo lunghi giavellotti con allegri nastri luminosi attaccati; altri andarono a piedi, agitando i loro mantelli scarlatti davanti al toro e saltando leggermente oltre la barriera, quando esso li caricò; l’animale era proprio come un toro vivo, anche se era fatto solo di vimini e pelle tesa, e talvolta insisteva a correre per l’arena sulle zampe posteriori, cosa che nessun toro si sogna mai di fare. I bambini si entusiasmarono tanto che si alzarono sui banchi, agitarono i loro fazzoletti di pizzo e gridarono: “Bravo toro! Bravo toro!”, sensatamente come se fossero adulti. Alla fine, però, dopo un lungo combattimento, durante il quale molti dei cavalli da tiro furono incornati e i loro cavalieri smontarono, il giovane conte di Senigallia mise in ginocchio il toro e, ottenuto il permesso dalla principessa per dare il colpo di grazia, affondò la sua spada di legno nel collo dell’animale con tale violenza che la testa si staccò immediatamente e scoprì il volto ridente del piccolo barone di Chiusi, figlio dell’ambasciatore parmigiano a Roma.

L’arena fu quindi sgomberata tra molti applausi e i cavallucci morti trascinati solennemente via da due paggi in livrea gialla e nera; dopo un breve intervallo, alcuni burattinai spagnoli apparvero a interpretare la tragedia semiclassica di Sofonisba sul palcoscenico di un piccolo teatro appositamente costruito. Recitavano così bene e i loro gesti erano così estremamente naturali che alla fine gli occhi della principessa erano completamente offuscati dalle lacrime. Alcuni dei bambini piangevano davvero e dovettero essere consolati con dolciumi. Lo stesso confessore ne fu così commosso che non poté fare a meno di dire a Giorgio Battista che gli sembrava intollerabile che oggetti fatti semplicemente di legno e cera colorata, mossi meccanicamente da fili, dovessero essere così infelice e andare incontro a disgrazie così terribili.

Lascia un commento