Un po’ d’India all’FBI: recensione a “Quantico”

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Quantico è, per almeno due stagioni, un piccolo, grande capolavoro di narrativa. Costruito su due linee temporali che rinviano l’una all’altra, con eventi che si rispecchiano e si completano un po’ per volta, questa serie tv riesce ad appassionare, ma senza utilizzare sempre i soliti cliché dello spionaggio nazionale e internazionale, ciò che, poi, alla fine decide di esperire solo al suo terzo anno.

La storia è incentrata su Alexis Parrish (Pryianka Chopra), una intelligente e avvenente recluta dell’FBI, di origini indiane e scelta dall’agenzia anche per questo motivo. Il suo addestramento alla farm è seguito nel dettaglio: si delineano le sue scelte nel campo delle amicizie e degli amori, si raccontano i suoi errori da principiante e le difficoltà nelle prove fisiche. Alexis è, appunto, una rookie i cui primi passi sono poco brillanti, tanto che finisce in fondo alla classifica della sua classe e rischia di volta in volta d’essere espulsa.

Eppure, per un gioco di sottintesi che emergeranno con una gradualità asfissiante, resta nella scuola, supera le prove e, alla fine, scopre un’intricata rete di controspionaggio che la segue, la bracca, la vuole responsabile di un tragico attentato alla Central Station di New York, dopo il quale la poveretta, del tutto incolpevole, deve fuggire dai suoi stessi compagni, dei quali comincia a temere il tradimento.

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Anche la seconda stagione ruota tutta intorno ad un altro corso educativo, ma stavolta alla CIA: Parrish, che è stata del tutto screditata per evitare di mettere nei guai i vertici della sua agenzia, viene reclutata forzosamente (anche perché non ha altre alternative) e finisce per muoversi di nuovo nell’ombra in un attentato ad un summit di pace, durante il quale tutti i suoi ex compagni di banco all’FBI sembrano coinvolti, e non sempre dalla parte giusta.

In questa sua sfida non esattamente ad armi pari con grandi strateghi che hanno la sua vita in pugno, Alexis non ha molto con cui difendersi: gli amici si dimostrano spesso e volentieri nemici, o guidati da interessi che non collimano con i suoi; i superiori sono violenti, spregiudicati, spesso collusi con le organizzazioni terroristiche; anche l’uomo che ama per almeno due stagioni (l’agente Ryan Booth, interpretato dall’ex soldato Jacob Adam McLaughlin) spesso e volentieri le mente, o le nasconde qualcosa per poi, alla fine, sposare l’altra sua collega, la ricchissima e sfortunata Shelby (Johanna Braddy).

Eppure un’incrollabile volontà la guida verso il bene: magari non sempre se ne rende conto, non sempre comprende cosa quel bene davvero sia, non sempre agisce nel modo più logico o intelligente, tant’è che, proprio per via dei suoi errori di valutazione, motivati dalla sua lealtà nei confronti di quasi tutti e dalla sua credulità, perde per la strada molte persone care, incapace com’è di distinguerle dai nemici.

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Gli spettatori, sostengono alcune fonti bene informate, si lamentavano che Quantico fosse troppo difficile da seguire per il fatto di sovrapporre troppo spesso la linea del presente della narrazione con quella del passato. Eppure è proprio in questo che risiede la caratteristica più piacevole dell’intera serie e quella che rende quest’ultima nella sostanza originale. D’altronde, non sarebbe la prima volta che vediamo raccontata sullo schermo la gavetta di un agente segreto (come dimenticare la Annie Walker di Covert affairs, o la Sydney Bristow di Alias, entrambe descritte proprio nel loro apprendistato, per la prima piuttosto goffo come per Alexis) né le trame imprevedibili per cui ciò che appare sotto una luce poi, nella realtà, ha un segno completamente opposto.

Quel che rende speciale Quantico è, invece, proprio lo slittamento temporale che aggiunge problematicità ai rapporti tra i personaggi: se, in una linea narrativa, alcune relazioni sembrano impostate per durare a lungo e altre per essere solo difficili, nell’altra linea capita esattamente il contrario, con il che gli sceneggiatori (capitanati dallo stesso Joshua Safran che ha ideato Gossip Girl e Smash) facilmente consentono allo spettatore uno sguardo più profondo nell’animo dei loro eroi.

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Quando, poi, questa magia s’interrompe (nella terza, brevissima stagione, di soli tredici episodi), la lunga e complessa storia che collegava gli episodi fino al quarantaquattresimo si perde: restano puntate da leggere in serie, senza legami narrativi, se non episodici e qualche volta perfino fuorvianti (e qualche buco narrativo che non è facile da digerire, se raffrontato con la compattezza e coerenza delle prime stagioni).

Quantico muore così, in mezzo alla mancanza di idee brillanti, in grado di ripetere l’exploit dell’incipit: resta, però, un bel ricordo di un cast quasi sempre all’altezza della trama, nel quale brilla la stella dell’inglese Russel Tovey.

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