Passione e “manga”: intervista ad Elena Toma

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Laureata in editoria d’arte nel 2012, la giovanissima disegnatrice leccese Elena Toma si è iscritta all’Accademia Europea di Manga, dove si è diplomata nel 2013 sotto la direzione di Junko Suzuki. Si è, poi, perfezionata nella tecnica manga presso la Yokogi Animation Gakuin a Tokyo in due differenti stage, il secondo interamente finanziatole grazie alla vittoria nell’edizione 2015 del concorso Lemonsoda. Per conto dell’accademia, ha insegnato tecnica manga a Bari ed ora a Milano. Fondatrice nel 2011 della webzine di manga italiani Mangakugan, vi ha debuttato con la sua prima opera a più episodi, Domination Reyel, diventata light novel. Pubblica attualmente due serie Energheia – Power Master (con l’editrice Kasaobake) e Sahaam (con Mangasenpai). Su carta ha debuttato nel 2013 con Màsche, edito da Araba Fenice Libri.

Del Giappone non apprezza solo i fumetti, ma anche il sushi.

Come è nata la tua passione per il fumetto?

A quanto ricordo, l’ho sempre avuta. Sin da piccola ho sempre letto un sacco di fumetti. Mi piaceva tantissimo l’idea di poter raccontare delle storie per mezzo dei disegni e, man mano che leggevo fumetti, s’è sempre più sviluppato il mio desiderio di voler raccontare delle MIE storie. I miei primi fumetti risalgono addirittura alle scuole elementari. Ovviamente erano storie banalissime e i disegni erano ancora peggiori, ma già all’epoca avevo le idee ben chiare su quello che volevo fare “da grande”.

L’opera su cui stai lavorando è Energheia: com’è nato? Cioè qual è stata l’ispirazione per la sua realizzazione?

A dire il vero lavoro a due fumetti contemporaneamente, Energheia (di cui uscirà il volume 3 ora al Lucca Comics) che pubblico con Kasaobake, e poi Sahaam (anch’esso giunto al volume 3) che pubblico con Mangasenpai. Sahaam, a differenza di Energheia, è un’opera interamente mia, mentre per quanto riguarda Energheia mi occupo solo dei disegni, mentre la storia è scritta dal mio fidanzato Thomas Lucking.
La storia nacque qualche anno fa come light novel. Thomas, che è uno scrittore amatoriale, iniziò a scrivere questa storia per pubblicarla su Mangakugan Light, una rivista contenitore che gestiamo noi due e che pubblica light novel realizzate da autori italiani. Io mi sarei occupata della parte grafica. La storia su Mangakugan ha avuto un discreto successo, per cui, quando ho avuto la possibilità di pubblicare un fumetto tutto mio, ho subito pensato di trasformare quest’opera in un fumetto. Ho così proposto la mia idea a Thomas che mi ha subito appoggiato. Siamo quindi in due ad occuparci della realizzazione, lui mi aiuta molto nella creazione dello storyboard (o namenote) della storia e a volte mi fa anche da “assistente” per quanto riguarda la parte grafica vera e propria. Lavoriamo come in un vero team affiatato e di questo sono davvero molto felice.

La storia accosta tante piccole idee che Thomas ha avuto durante la sua adolescenza e che, poi, ha deciso di amalgamare in un’unica trama. Inoltre, è sempre stato un appassionato di fantascienza (da piccolo leggeva fumetti e libri di Asimov insieme – proprio due cose similissime!), quindi era ovvio che avrebbe puntato anche su quel genere.

Per quanto riguarda Sahaam, di che genere si tratta e di cosa parla?

Così come Energheia, Sahaam è di genere shonen, ma la trama è più fantasy e avventurosa. La storia è ambientata in un mondo immaginario di nome, appunto, Sahaam, dove la razza dominante è quella dei Sahaamiani, che corrispondono, in quanto a caratteristiche, agli umani del nostro mondo, se non fosse per le orecchie a punta e la pelle azzurra. Protagonista è Sokar, un Sahaamiano di 17 anni che vive in un piccolo villaggio e deve affrontare la prova che, nella sua cultura, sancisce il passaggio dalla fanciullezza alla vita adulta. Durante la notte della iniziazione, tuttavia, accade qualcosa che cambierà per sempre la sua vita. Una terribile catastrofe si abbatte sul suo villaggio, per cui decide di cercare i responsabili e vendicarsi. Le colpevoli sono le ultime due esponenti di un’antica razza che si credeva fosse estinta: esse, a loro volta, vogliono vendicarsi per ciò che è accaduto al loro popolo. Si tratta, quindi, di due storie di vendetta che vengono a intrecciarsi, per cui i lettori parteggiano per una o l’altra fazione, senza mai riuscire a capire chi sia effettivamente il “cattivo” della situazione. E’ una storia ricca di azione, combattimenti e magia, con personaggi molto caratterizzati, ognuno con la propria storia e il proprio obiettivo.

Per diventare una mangaka hai frequentato una scuola.

Sì, ho frequentato l’Accademia Europea di Manga (per cui adesso sono anche insegnante nei corsi domenicali). Prima ho frequentato uno stage estivo, per poi frequentare, dopo la laurea in grafica, il corso accademico di sette mesi sempre presso la stessa scuola. Sono stata anche a Tokyo per uno stage formativo in tecnica manga della durata di un mese, corso che, poi, ho ripetuto due anni dopo grazie alla vittoria di un concorso di disegno (che metteva la frequenza del corso in palio come primo premio). Ammiro tantissimo chi riesce a lavorare da autodidatta, ma sono contentissima di aver avuto la possibilità di studiare come si deve la tecnica, anche perché ci sono certi trucchi e certe finezze che si possono solo apprendere da altri – difficilmente le si scopre da soli.

Come ti sei trovata all’accademia? La consiglieresti a chi vorrebbe diventare mangaka

Assolutamente sì, la consiglierei tantissimo perché è veramente un’ottima scuola, con insegnanti bravissimi e competenti, italiani e giapponesi venuti di proposito da una delle più importanti università di manga di Tokyo. E’ però una scuola dura: si studia veramente tantissime ore al giorno e i corsi sono molto intensi, quindi la consiglio solo a chi è veramente determinato ed è pronto a sopportare questi sforzi. Questa scuola non è adatta a chi non è davvero motivato e si lascia scoraggiare facilmente.
Io personalmente mi sono trovata molto bene: ho avuto insegnanti fantastici e sono stata anche fortunatissima per quanto riguarda i miei compagni di corso. Andavo d’accordo davvero con tutti: essendo il nostro un corso residenziale (un campus, insomma), ci si ritrovava a stare insieme 24 ore su 24. Tutti all’interno di quella scuola sono diventati come una mia seconda famiglia e anche ora, a distanza di tre anni, siamo molto legati. Un’esperienza davvero unica!

Sonia Mariana Laviosa – Caterina Pons

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