Maledetta Apocalisse (II parte)

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Il mattino seguente, il sole già albeggiava e gli uccelli cinguettavano, ma la quiete venne bruscamente interrotta da un urlo agghiacciante che proveniva dalle colline adiacenti. May e Sept vennero svegliate e decisero che era ora di mettersi in marcia: raccolsero molto velocemente i pochi oggetti che avevano con loro e cominciarono a camminare. Il bosco dove si addentravano era buio: gli alberi alti e rigogliosi facevano passare solo spicchi di sole sul sentiero.

Finalmente, le due ragazze, dopo due ore, non sentirono più rumori e poterono camminare a passo più lento: in effetti, rallentarono forse anche per la stanchezza o per la fame. Vedendo un piccolo spiazzo al lato del sentiero, Sept decise di fermarsi un secondo per riposare: “Saranno ore che camminiamo, che dici di mangiare?” disse guardando May che intanto s’era seduta.

May guardò la ragazza con stupore prima di aggiungere con un ironico sorriso: “Davvero vuoi sapere voglio fare una pausa? Dovresti sapere ormai che non dico mai di no”.

Sept allora tirò fuori dal proprio zaino due stecche di carne essiccata e gliene porse una; le due iniziarono a mangiare in silenzio con lo sguardo basso, completamente stanche. May finì per prima e, visto che era assetata, cercò nello zaino un po’ d’acqua. Mentre beveva, si accorse dello sguardo pensieroso e cupo sulla faccia di Sept, così si inumidì la mano e, avvicinandosi di soppiatto alla ragazza le schizzò qualche goccia d’acqua: “Non pensare alle cose tristi del passato, ci basta il presente”, disse con tono di rimprovero, seppure aggiungendo un sorriso.

“Non fare la mamma: sto bene, tranquilla. Grazie” le rispose gentilmente, trasformando la propria espressione di tristezza in una serena; una volta giratasi verso di lei, le cominciò a fare il solletico.

Le due cominciarono a rotolarsi sulla terra umida e a ridere, fino a ritrovarsi ingarbugliate in un abbraccio che le costringeva a guardarsi negli occhi. A quel punto May e Sept si bloccarono qualche istante: tutto sembrava fermo, tutto sembrava immobile, perfino il tempo stesso sembrava essersi stancato di correre. Entrambe vedevano il proprio riflesso negli occhi dell’altra: sembrava come se non esistesse altro, come se tutto in quel momento ruotasse attorno a loro; gli sguardi s’intrecciarono, come se qualcuno avesse legato i loro occhi con una corda e ora stesse stringendo il filo, facendole avvicinare.

Un boato sciolse la corda che legava i loro sguardi: entrambe si girarono verso la direzione del rumore. “Maledetta apocalisse!” disse May, battendo le palpebre spazientita.

“Dobbiamo andare” disse la sua compagna, più calma nonostante fosse anch’ella seccata.

Le due sopravissute si alzarono e, prendendo le proprie cose, ripresero la marcia a passo molto rapido. Arrivarono alla fine del sentiero, da dove si intravedeva un vecchio edificio abbandonato. Sembrava sicuro: d’altronde, la scelta era rischiare fermandosi là o andare verso morte certa; perciò Sept e May cominciarono a correre verso la costruzione diroccata e, trovando il cancello arrugginito aperto, entrarono facendosi strada tra l’erba incolta, le sterpaglie secche e i rovi.

Facendo forza, sfondarono la porta e riuscirono ad entrare nella parte riparata della vecchia proprietà. Il luogo era umido, buio, rovinato; sembrava fosse stato abbandonato da tempo. Da lontano non si poteva comprendere se fosse infestato da quei morti senzienti, ma le due ragazze capirono presto di non essere sole.

Sept, preoccupata di trovare un’uscita, non prestava attenzione al pavimento, ma avrebbe dovuto e presto lo avrebbe capito; quando si inciampò su qualcosa, piombando pesantemente a terra, il suo corpo fece un secco rumore nel silenzio del corridoio, attirando l’attenzione di alcuni zombie poco lontani da loro. Un ruggito famelico rimbombò tra le pareti, facendo rabbrividire le due fanciulle che, intuendo subito il pericolo, cominciarono a correre. Tuttavia, ormai si erano addentrate, l’ingresso era lontano e tornare indietro era rischioso: perciò dovevano trovare un’altra uscita.

Corsero, corsero, corsero a lungo fino a vedere una porta: sembrava l’ingresso di un altro corridoio. Sembrava che la struttura fosse costruita a compartimenti stagni… o almeno così credevano le due, ormai inseguite dal quel branco di zombie. Varcata la soglia, subito May e Sept si girarono a cercare di chiudere e sigillare la porta.

Quando le due sopravissute si girarono per proseguire verso la salvezza, si accorsero, però, di essersi appena condannate; quando andarono in fondo alla stanza, cercarono di aprire la nuova porta, ma era bloccata: non sapevano cosa impedisse il passaggio, ma semplicemente non potevano andare oltre. May scoraggiata guardò Sept e disse tristemente: “Non si apre… è la fine…”.

La ragazza la guardò con serenità, seppur rammaricandosi: “Almeno non ci dovremo uccidere a vicenda”, disse con la calma e la dolcezza di una madre, accennando un amabile sorriso.

May  ricambiò lo sguardo tenero della compagna: vedendo, però, che zoppicava prima di andarsi a sedere sul vecchio tavolo ammuffito  per riposare, le chiese stupita, preoccupata e quasi severa: “Che hai fatto alla caviglia?”.

“Nulla. Quando ho inciampato, ho preso una storta alla caviglia. Credo sia solo una brutta distorsione… ma tanto non ha più importanza: tra un po’ quei maledetti sfonderanno la porta e noi diventeremo come loro…” rispose con un sospiro malinconico.

Matilde Nuti

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