Racconto di un’evocazione: da Lucano ai giorni nostri

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Lucano, Bellum civile VI 507-526

hos scelerum ritus, haec dirae crimina gentis
effera damnarat nimiae pietatis Erictho
inque novos ritus pollutam duxerat artem.
illi namque nefas urbis summittere tecto
aut laribus ferale caput, desertaque busta
incolit et tumulos expulsis obtinet umbris
grata deis Erebi. coetus audire silentum,
nosse domos Stygias arcanaque Ditis operti
non superi, non vita vetat. tenet ora profanae
foeda situ macies, caeloque ignota sereno
terribilis Stygio facies pallore gravatur
inpexis onerata comis: si nimbus et atrae
sidera subducunt nubes, tunc Thessala nudis
egreditur bustis nocturnaque fulmina captat.
semina fecundae segetis calcata perussit
et non letiferas spirando perdidit auras.
nec superos orat nec cantu supplice numen
auxiliare vocat nec fibras illa litantis
novit: funereas aris inponere flammas
gaudet et accenso rapuit quae tura sepulchro.

La feroce Eritto aveva condannato per troppa pietà questi riti di scelleratezze, questi delitti di un popolo crudele ed aveva introdotto in quell’arte inquinata rituali nuovi (=orrendi).
Ed infatti era per quella empietà sottomettere la testa ferale ad una casa di città o ai Lari, e abita le tombe deserte ed occupa i sepolcri, cacciate le ombre, gradita (lei) agli dei dell’Erebo.
Né gli dei superni né la (sua) vita le impediscono di sentire le assemblee degli (spiriti) silenti e di conoscere le sedi stigie e i segreti del sotterraneo Dite.
Una magrezza spaventosa domina con la putredine il volto dell’empia, e orribile il viso ignoto al cielo sereno è gravato appesantito da chiome scarmigliate:
se il temporale e le nere nuvoli sottraggono (alla vista) le stelle, allora la (maga) tessalica esce dai nudi sepolcri e prende i fulmini notturni.
Bruciò i semi calpestati di una messe feconda e respirando rese pestifere le arie (fino ad allora) non mortali.
Non prega gli dei celesti né invoca col canto supplice un dio né (lei) conosce le viscere propiziatrici:
gode nel porre sugli altari fiamme funeste e incensi che strappano al sepolcro acceso”.
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Era domenica sera quando una vedova riunì in una stanza, la stessa nella quale il suo ultimo marito aveva esalato l’ultimo respiro, la sua giovane figlia, il suo fidanzato e due amici che facessero da testimoni. Alle undici il gruppo cominciò a cantare, come aveva ordinato loro la negromante Mystica, inni penitenziali e salmi, fino a quando l’orologio batté la mezzanotte; i cinque interruppero non appena la maga entrò nella camera, coperta da una veste bianca, a piedi nudi, con il viso pallido e sconvolto (per quanto possibile, visto che la sua pelle era completamente viola). I capelli rossi mossi dal vento, la strega si muoveva senza paura, senza nemmeno aver mutato la forma come avrebbe potuto: era richiesta nella casa, per via dei poteri che la natura le aveva fornito.

Se allora qualcuno degli astanti avesse tirato fuori una pistola, spaventato dal suo orribile aspetto, ella avrebbe messo in pratica le sue doti di combattente e atterrato colui che aveva osato attaccarla. Ma nessuno ci provò, impietriti com’erano dalla paura, radunati per un rituale tanto arcano, spinti dalla necessità a chiedere aiuto perfino a lei. Se avessero compreso le sue intenzioni malefiche, forse, però, sarebbero fuggiti. Del resto, come pensare che lei volesse davvero fare loro del bene, dopo che aveva tradito amici e amanti, dopo che aveva giurato di farla pagare a tutti gli esseri umani?

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Mystica teneva, sotto il braccio, un drappo nero e una spada senza fodero, mentre con entrambe le mani portava con sé due candele accese. Entrata nella camera, con una smorfia di disgusto fece loro segno di non dire nemmeno una parola; coprì la tavola che era nel mezzo della sala e vi posò gli altri oggetti. Dopodiché, bruciate alcune essenze in uno scaldavivande, cominciò l’evocazione, mormorando molte parole misteriose e brandendo la spada come se stesse combattendo con un nemico invisibile; all’improvviso il combattimento sembrò smettere e Mystica, rivolta agli altri che stavano in piedi in cerchio intorno a lei, esclamò: “Ce l’ho fatta, sta arrivando”.

Uno spesso fumo oscurò all’improvviso la camera e una piccola figura, che somigliava in modo incredibile al defunto, apparve.

Fate la vostra domanda, prima che svanisca”, ordinò con tono quasi vendicativo Mystica.

La padrona di casa tremò e non fu capace di dire una sola parola e allo stesso modo si comportò la figlia; intanto, il fantasma le guardò con gli occhi cavi ed agghiaccianti, scuotendo la testa. Mystica allora chiese senza mai vacillare: “Chi sei?”

Sono il marito di questa donna”, rispose lo spettro, che appariva rattristato.

Tua figlia può sposare Anthony?”

No, no!” esclamò l’apparizione, ancora una volta scuotendo la testa.

Perché?” continuò Mystica, quasi contenta di mettere il dito nella piaga.

Il fantasma sussultò, alzò le mani minaccioso, barcollò all’indietro e, mentre stava scomparendo, aggiunse con un ultimo respiro: “Lui è suo fratello!”.

Veronica Colamassaro

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