Drammi familiari in salsa romana: recensione a “L’eredità Ferramonti”

L'eredità Ferramonti - Film - RaiPlay

L’eredità Ferramonti

(Italia; 1976)

Regia: Mauro Bolognini

Soggetto: Gaetano Carlo Chelli

Sceneggiatura: Sergio Bazzini, Roberto Bigazzi, Ugo Pirro

Fotografia: Ennio Guarnieri

Montaggio: Nino Baragli

Musiche: Ennio Morricone

Scenografia: Luigi Scaccianoce, Bruno Cesari

Costumi: Gabriella Pescucci

Trucco: Giuseppe Capogrosso, Massimo De Rossi

Cast: Gigi Proietti (Pippo Ferramonti); Anthony Quinn (Gregorio Ferramonti); Fabio Testi (Mario Ferramonti); Dominique Sanda (Irene Carelli Ferramonti); Adriana Asti (Teta Ferramonti Furlin); Paolo Bonacelli (Paolo Furlin)

Roma, 1880: un padre padrone (Anthony Queen), fornaio da una vita, va in pensione e vende l’attività. Siccome non ha alcun rispetto per i tre figli, che non ha mai amato, ben ricompensato peraltro da loro in termini di affetto mancato, li liquida prima dell’eredità, così da non dover avere a che fare con loro nei suoi ultimi anni. Il dramma inizia ben nascosto dal primo dei tre, Pippo (Gigi Proietti, che però al tempo si faceva chiamare ancora Luigi), che è stato l’unico a voler aiutare il genitore e s’immagina d’essere ricompensato: alla fine, ne guadagna solo tremila lire, che investe per rilevare un negozio di ferramenta, scelta che, col tempo, si rivelerà mortale per lui e per tutta la sua famiglia.

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